Mantova, visita a Villa Te
- Dicembre 16, 2018
- by
- Maria Paola Salvanelli
Palazzo Te si trova nella parte sud della città di Mantova, raggiungibile dal centro storico con una piacevole passeggiata di circa 25 minuti. Un vero MUST per chi visita Mantova per la prima volta.
La villa venne costruita nel 1500 per volere di Federico II di Gonzaga che desiderava una villa come quella di un imperatore romano, un rifugio dagli obblighi di corte e un luogo appartato dove dedicarsi unicamente allo svago e al divertimento. Per la realizzazione di questo progetto incarica Giulio Pippi detto il Romano, il migliore allievo di Raffaello, il quale prende spunto dai resti della villa dell’imperatore Domiziano, una corte quadrata (domus romana) attorno alla quale si dispongono i diversi appartamenti. Motivo per cui il termine corretto per definire questo tipo di edifico sarebbe villa e non palazzo.
All’ interno della villa ci sono dei bellissimi giardini, con un piccolo appartamento segreto (non visitabile) che Federico usava quando si voleva rilassare in completa solitudine. Il giardino, detto Villarium, un tempo era decorato con vasche e bellissimi gioghi d’acqua ma oggi rimane ben poco.
Fino al 1700 la villa sorgeva su un’isola sul Lago Paiolo, il quarto lago di Mantova, prosciugato in epoca napoleonica per motivi militari. Entrando a Mantova si vedeva questo enorme palazzo sorgere delle acque e ci si chiedeva con stupore come potesse galleggiare. Togliendo l’acqua ha perso quel fascino che suscitava in origine.
Non esistono documenti ufficiali che attestino perché si chiami precisamente Villa Te, si sono fatte diverse supposizioni. Si è trovato un’assonanza con le casette dei pescatori che abitavano nella zona, si è ipotizzato che il nome fosse riconducibile alle strade che si incrociavano a T prima della costruzione della villa, ma la teoria più attendibile è che la piccola isola su cui si trovava la villa al tempo dei Gonzaga era denominata Teieto (per i tanti tigli) da cui sarebbe derivato il nome di Villa Te.
Federico fa costruire questa villa principalmente per l’amante, Isabella Boschetto, donna già sposata e più vecchia di lui, per cui perde letteralmente la testa e non potendola portare a palazzo ducale, vuole un luogo appartato per stare con lei nei momenti di relax. A lei sono dedicate stanze e affreschi come vedremo tra poco. Un luogo quindi destinato unicamente al divertimento e allo svago. Solo in un secondo momento diventerà anche una villa di rappresentanza dove ricevere ospiti illustri come l’imperatore Carlo V che venne qui in visita per ben due volte.
Prima di addentrarci all’interno della villa è doverosa una premessa.
Quello dei Gonzaga era uno piccolo stato cuscinetto tra il ducato di Milano e quello Serenissima di Venezia.
La famiglia ci teneva ad emergere e ad avere qualcosa che gli altri stati non avevano. Per raggiungere il loro scopo punteranno su 2 cose:
La quadreria, avranno nel 1500 la collezione di quadri più importante d’Europa, più di 2000 quadri e 1000 oggetti d’arte antica, tra marmi bronzi. Erano dei grandi collezionisti un tempo avere una collezione di oggetti antichi da mostrare era un enorme vanto. Collezione che oggi purtroppo, non c’è più.
1630 Mantova subisce un saccheggio da parte lanzichenecchi, successivamente si alternano due dominazioni straniere, quella austriaca e poi napoleonica, che hanno fatto man bassa di tutti gli oggetti preziosi rimasti.
L’ altra cosa sulla quale punteranno sarà l’allevamento dei cavalli. Prima della costruzione della villa qui si trovavano le scuderie. Avranno cavalli da guerra e da corsa, più veloci d’Europa. Una sala della villa è infatti dedicata agli stalloni più forti della loro scuderia.
Il palazzo ora è spoglio a causa dei numerosi saccheggiamenti ma un tempo era ricco di quadri, marmi, bronzi, suppellettili, oro, argento… era di una ricchezza incredibile. Anche esternamente era molto diverso da come lo vediamo oggi. Pensate che la villa era tutta bianca, dipinto con polvere di marmo bianco per dare l’idea che fosse stata costruita interamente con questo materiale. Siamo in pieno rinascimento e questo progetto era una cosa meravigliosa a quei tempi e lasciatemi aggiungere che lo è ancora.
Il vuoto delle stanze è perfettamente contro bilanciato da affreschi meravigliosi che vi faranno rimanere a bocca aperta.
Noterete subito che gli affreschi non occupano tutta la parete ma sono realizzati dalla metà in su. Questo perché la parte di parete non affrescata veniva abbellita con tende di cuoio che trattenevano il calore, arazzi o tende di velluto, in modo da conferire alla stanza una colorazione diversa a seconda dei festeggiamenti che vi si tenevano.
Sui frontoni dei camini o delle porte vediamo sempre inciso il nome FEDERICO II GONZAZA QUINTO MARCHESE DI MANTOVA, a testimonianza dell’egocentrismo dei signori del rinascimento. Quasi a voler sottolineare che “Chi comanda sono io”. In mancanza del nome si ricorre alle così dette IMPRESE, ovvero dei simboli. Molto amata dai Gonzaga, infatti la si vede in tutti i loro palazzi, è il Monte Olimpo nella mitologia, la sede degli dei, quindi della immortalità. Il messaggio intrinseco di questa impresa è quindi: “LUNGA VITA A CASA GONZAGA”. Un altro simbolo che vediamo raffigurato spesso sul camino è la salamandra, animale a sangue freddo che sopporta il fuoco senza conseguenze e frigido, quindi poco passionale. Questa impresa vuole richiamare la passione ardente di Federico per Isabella che al contrario si sente bruciare ed è tormentato dal suo amore per la bella Isabella.
Non è certo mia intenzione descrivervi nel dettaglio tutte le stanze che compongono la villa, mi soffermo solo sulle principali.
STANZA DA LETTO ISABELLA BOSCHETTI
Il soffitto è occupato da un enorme affresco aereo del Carro del Sole e della Luna. La particolare prospettiva scelta evidenzia l’abilità pittorica degli artisti del 1500, che decisamente non soffrivano di cervicale!
Vediamo Apollo che se ve va, lasciando il posto al carro della luna, ma nella fretta si è dimenticato di indossare le mutande. È un evidente provocazione e tante altre ne incontreremo nelle stanze successive.
Ricordiamo che la villa era un luogo di piacere e divertimento, Federico II di Gonzaga veniva qui a divertirsi con l’amante e gli amici. Colpisce inoltre la dimensione della stanza, molto più grande delle altre. Nella cultura rinascimentale la camera da letto del signore era la stanza più grande, perché se non aveva impegni particolari passava tutta la giornata in camera da letto dove mangiava, giocava, si divertiva, riceveva personalità importanti.
CORTILE D’ONORE
Dove si ricevevano le persone importanti. Qui Giulio Romano si diverte con l’architettura, escogita accorgimenti particolari per ingannare l’occhio tanto che Villa Te è anche detta Palazzo di luci ed inganni. L’architetto rompe gli schemi fissi del rinascimento e trasforma le scuderie in una sontuosa villa destinata a diventare un capolavoro del manierismo.
Si vuole dare l’idea che il cornicione stesse crollando. Ancora una volta il crollo del cornicione è da intendere come gioco, come un divertimento. Oggi giorno non desta più nessun effetto ma dovete pensare che nel 1500 quando si tenevano feste che duravano fino al mattino, il cortile era illuminato da torce che proiettavano sul palazzo, al tempo di un bianco cangiante, un gioco di luci ed ombre incredibile. La luce delle torce non è fissa, traballa e già di per sè crea un movimento enfatizzato dai punti in cui nelle pareti c’erano delle nicchie, delle rientranze o nei punti in cui il cornicione era spezzato e dava come l’impressione che stesse crollando. Si voleva creare una suggestione.
SALA DEI CAVALLI
In questa sala si svolgevano feste e banchetti nei periodi invernali. La sala è dedicata agli amati cavalli delle scuderie dei Gonzaga che raffigurati a grandezza naturale sembrano voler uscire dal muro. Da qualsiasi parte guardiate vi seguono con lo sguardo, quasi a dire “siamo ancora vivi, siamo presenti”. Poter cavalcare un cavallo dei Gonzaga era un grande prestigio, erano cavalli che avevano vinto le gare ed i tornei delle città più importanti d’Europa: Parigi, Roma, Londra, Napoli Palermo e Genova. Erano così temuti che spesso i signori dell’epoca se venivano a sapere che avrebbero gareggiato i cavalli dei Gonzaga ritiravano i propri per non sfigurare.
Quando nel 1700 la famiglia dei Gonzaga viene spodestata dagli arciduchi d’Austria, affinchè non andasse perduta tutta la selezione che avevano fatto nel tempo sul cavallo da corsa, gli inglesi ne prelevano tutto l’allevamento e sarà dalla razza studiata dai Gongaza che nel 1900 uscirà il puro sangue inglese.
Il soffitto sembra sorretto dai putti, alcuni a gambe per aria, altri che si divertono a fare linguacce prendendo in giro chi entra nella stanza. Ancora una volta Federico II si fa scherno dei suoi ospiti.
STANZA AMORE E PSICHE
La Camera di Amore e Psiche, la sala da pranzo del duca si tratta dell’ambiente più sontuoso del palazzo, destinato ad accogliere solamente gli ospiti più illustri.
La stanza è interamente affrescata e prende il nome dalla favola di Amore e Psiche, tratta dalle Metamorfosi di Apuleio, dipinta sulla volta e nelle lunette.
Quella di Amore e Psiche è una favola senza tempo, una delle leggende d’amore più belle di sempre, metafora dell’eterna lotta tra razionalità e istinto, tra cuore e cervello.
Psiche era una fanciulla bellissima, tanto che il suo splendore attira l’invidia di Venere (Dea della bellezza) che vuole vendicarsi di lei e chiede a suo figlio Amore (Cupido) di colpire Psiche con una delle sue infallibili frecce e di farla innamorare dell’uomo più brutto della terra.
Amore accettò ma, una volta arrivato di fronte alla fanciulla, rimase così incantato dalla sua bellezza che sbaglia mira e si punge, innamorandosene perdutamente.
Per non farsi scoprire dalla madre, Amore conduce la fanciulla nel suo palazzo e le farà visita ogni sera, al calar del sole ma senza mai mostrarle il volto. Psiche aveva accettato il compromesso di non poter sapere l’identità del suo amante. I due vivranno intensi momenti di passione finchè Psiche, istigata dalle sorelle e spinta dalla curiosità, verrà meno alla promessa fatta e mentre Amore dormiva, gli si avvicina con una lampada per vederne il volto, rimanendo folgorata dalla sua bellezza. Purtroppo, mentre ammirava il volto di Amore, una goccia d’olio della lampada cade accidentalmente sul giovane che, risvegliatosi e deluso per la troppa curiosità di Psiche, la abbandona.
Nel frattempo Venere viene a sapere dell’accaduto e infuriata decide di punire Psiche che, per riavere il suo Amore dovrà affrontare difficilissime prove, tra cui la discesa negli inferi per chiedere a Proserpina un po’ della sua bellezza. Ancora una volta la curiosità spinge Psiche a venire meno alla promessa ed apre l’ampolla donatale da Proserpina che la farà cadere in un sonno profondo.
Verrà risvegliata da Amore, che sentendo la sua nostalgia era corso a cercarla e per non rischiare di perdere nuovamente la sua amata chiede a Giove, il padre degli dei, di poterli riunire per sempre. Dopo aver bevuto dell’ambrosia la fanciulla diventa una dea e i due innamorati, dopo sofferenze e prove continue, sono finalmente liberi di amarsi, questa volta per sempre.
Si pensa ci sia una stretta connessione fra la favola di Amore & Psiche e l’amore che Federico provava per Isabella Boschetti, relazione da sempre contrastata dalla madre di lui, Isabella D’Este.
Sulle altre pareti sono rappresenti diversi episodi mitologici, slegati dal mito di Amore e Psiche ma il cui tema centrale è sempre l’amore contrastato, l’amore clandestino e non corrisposto ( Bagno di Marte e Venere, Bacco e Arianna Venere e Adone, Giove e Olimpiade Polifemo con Galatea e Aci, Pasifae e il toro)
Lungo la parete che ospita il camino di marmo rosso veronese, si legge l’iscrizione che ricorda i titoli nobiliari di Federico Gonzaga e il ruolo attribuito alla villa, destinata all’onesto ozio dopo le fatiche dell’attività di governo “HONESTO OCIO POST LABORES AD REPARANDAM VIRT QVIETI CONSTRVI MANDAVIT”.
In una stanza così importante non manca un autoritratto di Federico II che qui si fa rappresentare nelle vesti di Giove e si nota in modo evidente il suo membro virile. Il particolare è talmente esplicito che quando gli austriaci prenderanno possesso della villa faranno oscurare questo particolare.
SALA DEI GIGANTI
La stanza forse più famosa e stupefacente di Palazzo Te, dove Giulio Romano mette in scena una sperimentazione pittorica estremamente innovativa per il tempo, tanto da rimanere ineguagliata per secoli. La vicenda che viene dipinta è quella della Caduta dei Giganti, presuntuosi abitanti della terra che tentano di scalare il Monte Olimpo per rubare il potere a Giove. Ma, come ritratto nel soffitto, le divinità se ne accorgono e lo riferiscono subito a Giove che arrabbiato scaglia i suoi fulmini facendo crollare tutto quello che c’era attorno: pezzi di montagna, rocce, piante, pietre… il dipinto implode nella stanza mentre tutto sta cadendo addosso ai giganti che, colti di sorpresa, vivono un momento di grande terrore, cosi come i visitatori che al tempo entravano in questa stanza. Dovete pensare che era completamente buia, illuminata fievolmente da un camino ricoperto da un mascherone che ritraeva il faccione bianco di un gigante a bocca aperta e quando il camino era acceso sembrava sputare fuoco dalla bocca e dagli occhi. Giulio Romano aveva smussato gli angoli della stanza per amplificare il rumore e creare un rimbombo attorno alla sala per dare l’idea che qualcosa stesse crollando. Chi entrava, oltre ad urlare, cercava ovviamente di scappare ma il pavimento degradava ad imbuto, cerchi concentrici di sassi di fiume la cui ampiezza diminuiva mano a mano che ci si avvicinava al centro. Nel 1500 un progetto del genere era estremamente avveniristico.
Potrei raccontarvi ancora tante cose ma non voglio togliervi il gusto della sorpresa. Spero che questo post di taglio prettamente culturale non vi abbia annoiato troppo. Personalmente non sono molto tipo da museo ma la visita di Palazzo Te mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta e vi esorto a visitarlo alla prima occasione.
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