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NAMIBIA – Il Promontorio di Cape Cross & la Skeleton Coast

Lasciamo Swakopmund per dirigerci verso la regione del Damaraland. La fitta nebbia di ieri avvolge ancora la città ma basta imboccare la C34 verso Nord, in direzione Henties Bay per vedere spuntare di nuovo un pallido sole.

È impressionante come il paesaggio, nel giro di pochi chilometri, cambia in maniere così drastica. Ci lasciamo alle spalle la civiltà, le strade trafficate, i semafori, le vetrine ed i negozi per piombare nuovamente nel nulla più assoluto. Mi guardo attorno alla ricerca di qualche punto di riferimento  ma invano.

Una piana infinita, arida, vuota. L’essenza del nulla, si ha come l’impressione di entrare in un mondo sospeso, parallelo. Alla nostra destra si intravede l’oceano ma non è ben chiaro il confine tra mare e cielo, è tutto avvolto da una patita grigia che conferisce ulteriore drammaticità al paesaggio.

La C34 è una strada che sembra asfaltata ma si tratta di sale compatto, pressato. Inutile dire che si viaggia benissimo, le ruote non fanno rumore  e possiamo addirittura permetterci il lusso di ascoltare un po’ di musica, sugli sterrati sconnessi  incontrati fino ad ora era diventata un’ impresa impossibile.  Il fondo liscio della strada non deve però indurvi nella tentazione di premere troppo a fondo l’acceleratore, si tratta pur sempre di un fondo sabbioso e guidare a velocità elevata è pericolosissimo, soprattutto quando cala la nebbia e la pista umida diventa scivolosa come ghiaccio, o peggio.

Stiamo percorrendo un tratto della famigerata e tanto temuta Skeleton Coast, “La costa degli scheletri”.

Fedele al proprio nome è zona spesso soggetta a tempeste e fitte nebbie, causate dalle correnti oceaniche fredde del Benguela che incontrano le masse di aria calda dell’entroterra dove, vi ricordo, domina il deserto.  A prima vista il deserto della Namibia potrà sembrarvi una regione arida e desolata ma se guardate bene le pietre ed il terreno sono coperti da una grande varietà di licheni. Se da un lato la nebbia costituisce l’unica fonte di idratazione per la flora locale, e quindi fonte di vita, per i navigatori che solcavano le acque tumultuose della costa, la nebbia è stata spesso causa di morte e numerose sono le navi che sono rimaste incagliate tra secche e dune sabbiose. Da qui la scelta di un nome così evocativo come Skeleton Coast.

Il relitto più recente è quello della Zelia, arenato a pochi metri dalla costa qualche chilometro dopo Henties Bay.

DSC_1089I resti di altri pescherecci o navi mercantili naufragati a seguito delle forti correnti si trovano molto più a Nord, all’interno del Parco Nazionale della Skeleton Coast; in realtà ho letto che si tratta di più che altro di cumuli di legno marcescente. I resti delle navi sono ormai stati inghiottiti dal mare ed erosi dai forti venti che provengono dall’Atlantico. I relitti più importanti si trovano a Nord di Torra Bay, una zona del parco dove si può entrare solo se accompagnati e per di più l’unico mezzo che ne consente l’osservazione sono costosissimi safari in elicottero.

Superiamo un villaggio di pescatori dal nome impronunciabile, Wlotzkasbaken. Più del nome mi rimangono di certo più impressi i colori vivaci con cui sono state dipinte le case:  blu, rosso, giallo,ect. quasi l’abitato volesse ribellarsi contro la monotonia cromatica circostante. Ancora qualche chilometro e raggiungiamo Henties Bay, ultimo avamposto abitato lungo la costa namibiana. Da qui fino all’Angola non c’è più nulla, solo il deserto.

Mano a mano che proseguiamo  lungo C34 il deserto sembra diventare sempre più vuoto. Qui ho avuto modo di sperimentare con i miei occhi quell’ effetto ottico particolare che ti induce a di vedere, o meglio a credere di vedere, pozze d’acqua inesistenti. I famosi “miraggi” del deserto.

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A farci compagnia troviamo qua e la le piccole casetta di legno dei pescatori che spuntano lungo la costa come tanti blocchetti di lego colorati e piccole bancarelle improvvisate che vendono sassi e minerali estratti nelle cave vicine. Le bancarelle non sono presidiate da nessuno, i prezzi di ciascun minerale è chiaramente esposto ed eventuali acquirenti possono lasciare i soldi in appositi barattoli di latta. Un commercio basato sulla fiducia insomma.

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Finalmente ecco il cartello che preannuncia il nostro arrivo alla Riserva Faunistica di  Cape Cross.

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Cape Cross è un piccolo promontorio roccioso scoperto nel 1485 dal navigatore portoghese Diego Cão che qui eresse una croce di pietra per segnalare il possesso da parte di re Giovanni del Portogallo di quel territorio aspro e desolato fino ad allora mai raggiunto. L’attuale croce è una copia, l’originale venne trafugata da un esploratore tedesco e portata in Germania, dove tutt’ ora è conservata.

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Il promontorio di Cape Cross è l’habitat naturale della colonia di otarie più popolosa al mondo, attratte dall’ abbondante pesce trasportato dalle fredde correnti del Benguela.

Le otarie mangiano ogni giorno una quantità pari all’8% del proprio peso, con un consumo annuo di oltre un milione di tonnellate di pesce e nonostante metà del consumo sia di pesce non commerciabile, il governo per proteggere i pescatori e le industrie del settore, ha autorizzato in alcuni periodi dell’ anno la caccia ai cuccioli per limitare il numero della colonia entro certi limiti. A nulla sono valse le proteste da parte di attivi gruppi di ambientalisti e se ci pensiamo è un bel paradosso visto che la Cape Cross Seal Reserve è una riserva nata con lo scopo di proteggere questi animali!

Il cancello di ingresso del Parco è aperto dalle 10,00 alle 17,00. Prima di procedere oltre dovrete fermarvi reception e pagare il vostro biglietto di ingresso. Per un auto e due persone abbiamo pagato 180 NAD, circa € 10.

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Su tutte le guide si legge che per quanto simpatiche queste otarie hanno un odore tremendo e consigliano di portarsi un fazzoletto o addirittura una sciarpa da mettersi davanti al naso per contrastare per quanto possibile questo olezzo. A me sembrava un esagerazione, la stessa cosa si dicevano dei pinguini di Boulders Beach in Sudafrica e per quanto non sembrasse certo di entrare da Sephora, alla fine l’odore era tollerabile. Ma non appena apro la portiera dell’auto mi sono dovuta ricredere, anzi, d’istinto l’ho subito richiusa, non volevo crederci! L’odore non era acre, di più. La cosa peggiore che avessi mai sentito e sono stata anche nelle concerie di pelle in Marocco e mentre tutti si strofinavano il rosmarino sotto il naso io scattavo foto come se nulla fosse. Credetemi, non esagero se dico che la puzza era talmente potente da far lacrimare gli occhi!

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Poi poco alla volta, ci si abitua anche perché lo spettacolo che si apre davanti ai vostri occhi è qualcosa di indescrivibile!

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La colonia conta più di 100.000 esemplari che potete osservare ad una distanza molto ravvicinata grazie ad una comoda passerella di legno.

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Le otarie sono incredibili. La maggior parte sonnecchia al sole appoggiata a scogli e rocce in pose improbabili, molte di loro hanno il collo tutto ritorno all’indietro,  sembra quasi stiano facendo yoga e inventando una nuova asana.

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Altre, e forse la maggior parte litigano tra di loro. Come ho letto sulla guida le otarie vivono in colonie fondamentalmente per proteggersi dagli attacchi di eventuali sciacalli o altri predatori ma sono animali solitari e poco socievoli, quindi continuano a litigare anche solo per spartirsi un pezzo di roccia su cui fare un pisolino. Molte nuotano in acqua, cavalcando le onde. Altre giocano, prendono il sole.

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Ci sono tante mamme che allattano i propri cuccioli e proprio come in un documentario di Super quark abbiamo addirittura assistito ad un parto! La straordinarietà dell’evento ha ovviamente richiamato l’attenzione di tutti i visitatori che si sono accalcati  attorno a questa povera otaria che non credo se la stesse passando proprio bene anche se devo dire era l’unica che non si alimentava. I versi che emettono sono qualcosa si indescrivibile, un misto tra: un lamento, un pianto, un rutto e un ruggito.

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Mi ripeto, la cosa che più mi ha sconvolto è stato l’odore. Ogni tanto mi coprivo il naso con la manica del maglione per riprendere fiato perché quell’ olezzo mi  dava alla testa e anche dopo, a distanza di ore continuavo a sentirmelo addosso.

Tra le foche si aggirano vari sciacalli che sicuramente approfittano degli esemplari più deboli o anche dei cuccioli per pasteggiare. Talvolta i cicli di madre natura sono davvero brutali.

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Non perdetevi la deviazione in questa zona selvaggia dove l’oceano si scaglia con tutta la sua violenza sulla costa.

Da Cape Cross si potrebbe proseguire sempre verso Nord fino a raggiungere l’ Ugab Gate. Qui finisce la strada di sale e inizia la zona protetta. Per transitare in questa zona dovrete pagare un biglietto di ingresso ed assicurarvi di uscire prima del tramonto. Se da Swakopmund state viaggiando come noi verso il Damaraland potrete guidare fino alla remota Torra Bay e uscire a Springbok Water Gate. Se decidete di avventurarvi lungo la Skeleton Coast dovete necessariamente avere alcune accortezze

  • Da Swakopmund a Torra Bay ci sono circa 300 km, è possibile entrare nel parco entro le 15,30 ma dovete uscire prima che faccia buio, calcolate bene le distanze e il tempo a vostra disposizione.
  • Assicuratevi di avere con voi acqua, qualche provvista e una ruota di scorta. Nel parco passano pochissime macchine e il cellulare, come in molte zone della Namibia, spesso non prende. Potreste rischiare di rimanere bloccati fino al giorno dopo. L’unico campeggio all’interno della Parco è ubicato a Torra Bay ma è aperto solo nei mesi di dicembre e gennaio.
  • Partite con il serbatoio pieno e magari una tanica di scorta che non gusta mai.

Lungo la Skeleton Coast non c’è assolutamente nulla ed è proprio questo il suo bello.

Purtroppo noi non ce la siamo sentiti ed è l’unico rimpianto di questo bellissimo viaggio. Mi spiego meglio. La nostra intenzione era percorre la Skeleton Coast in tutta la sua lunghezza, il nostro unico cruccio era non avere un 4×4. Durante il nostro peregrinare per le vie di Swakopmund incontriamo l’ufficio della Namibia Wildlife Resort Office, dove reperire i permessi per le aree protette del paese e richiedere tutte le informazioni di cui avete bisogno.

Chi meglio di loro possono aggiornarci sulla stato reale delle strade? cosi pensavo.

Cartina alla mano spiego la nostra idea di itinerario ma ci dicono che il Springbok Water Gate è chiuso e a metà della Skeleton Coast avremmo dovuto imboccare  la D 2303, una stradina secondaria di montagna che ci avrebbe condotto a Uis, alle pendici del Brandberg.

Dopo una settimana di on the road abbiamo imparato che qualsiasi strada preceduta dalla lettere D è sinonimo di sassi, sassi e ancora sassi. La nostra sete di avventura è stata cosi smorzata sul nascere dalle parole poco rassicuranti di una impiegata chiaramente annoiata e anche un po’ scocciata per averla disturbata. Per un attimo abbiamo pensato che di non darle retta e avventurarci comunque ma cosa avremmo fatto se effettivamente avessimo trovato il cancello chiuso e avessimo dovuto ripercorrere la Skeleton Coast in tutta la sua lunghezza? Si parla di più di 200 chilometri di una strada di cui ignoriamo le reali condizioni e da percorrere con un 2×4 nemmeno troppo alto!

Ci accontentiamo di fare visita alla Colonia di Otarie di Cape Cross, per poi fare ritorno a Henties Bay e da li imboccare la C35, direzione Damaraland. Lasciamo il freddo e l’aria satura di sale e umidità della costa per beneficiare di un clima caldo e asciutto. Altri  100 km ci separano da Twyfelfontein, la nostra prossima tappa, che raggiungiamo a fatica a causa di alcuni tratti di strada talmente sconnessi da essere costretti a procedere con velocità inferiore ai venti chilometri orari. Ma di questo vi parlerò prossimamente.

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ARTICOLI SULLA NAMIBIA

  1. Guida pratica al viaggio
  2. Deserto del Kalahari
  3. Sossusvlei, Deadvlei & il Sesriem Canyon
  4. Solitaire, il luogo NON luogo
  5. Sandwich Harbour, dove le dune scendono in mare
  6. Il Promontorio di Cape Cross & la Skeleton Coast
  7. Le incisioni rupestri di Twyfelfontein
  8. Visita ad un villaggio Himba
  9. Epupa Falls, al confine con l’Angola
  10. ETOSHA, Guida pratica per organizzare un safari

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