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Trekking in Val Ceno – Il Monte Carameto

Cosa fai quando i tuoi fidi compagni di camminate sono stati tutti decimati dall’influenza e passare una domenica di sole sul divano non è un opzione?

Prima di tutto fai gli scongiuri per uscirne indenne anche a questo giro e poi ti iscrivi ad un escursione organizzata da Trekking Taro Ceno.

In genere preferisco le camminate in compagnia di pochi intimi se non addirittura in solitaria ma per una volta valeva la pena provare e devo dire che sto già studiando il programma per iscrivermi alla prossima.L’associazione, formata da guide ambientali esperte ed regolarmente iscritte ad AIGAE (Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche) organizza escursioni guidate delle valli del Taro e del Ceno e non solo.

Lungo il percorso sapranno illustrarvi le peculiarità del territorio da un punto di vista naturalistico, geologico e storico. Davvero una bella esperienza, assolutamente da ripetere.

Poi, ora che ho anche il tesserino, vuoi non sfruttarlo?

L’escursione prescelta è quella al Monte Carameto.
Ci troviamo presso l’ufficio del turismo di Bardi per poi spostarci al Passo del Pellizzone (1029 mt) sul confine tra le province di Piacenza e Parma, distante circa 10 km dal centro di Bardi e dove lasciamo le nostre auto.

Il trekking di oggi si svolge su di un percorso ad anello, breve ma interessante a livello naturalistico e paesaggistico. Cammineremo su antiche mulattiere che attraversano il crinale, contemplando un paesaggio piacevole e vastissimo, che spazia dalle più alte montagne dell’alto Appennino alle prime colline che digradano lentamente per congiungersi alla Pianura Padana.

Dal Passo abbandoniamo la strada asfaltata e imbocchiamo il sentiero sterrato sulla sinistra, secondo la segnaletica dovremmo essere in vetta indicativamente tra due ore.

Continuiamo per la mulattiera che procede con alcune svolte all’interno di un bellissimo ambiente boscoso.

Il primo tratto del precorso è prevalentemente in discesa ma non illudetevi, dovendo raggiungere la cima di un monte la pacchia non può durare a lungo. E tanto più si scende più si dovrà poi risalire.

Attraversiamo dei boschi privati governati a ceduo. Cosa vuol dire?
Ogni tot metri viene lasciata una pianta giovane, chiamata matricina, selezionata e lasciata per sfruttare la proprietà pollonifera dei ceppi tagliati, da cui nascono altre piante ma serve appunto una pianta sana che le vada a fecondare. Un bosco governato in questo modo è più vantaggioso economicamente perché si può tagliare ogni 20-30 anni a seconda della tipologia della pianta.

Si capisce subito se è un bosco di questa tipologia perché gli alberi crescono in ceppi, ovvero crescono tutti assieme. Molto diverso il bosco ad altro fusto, caratterizzato da piante singole, ma prima di poter essere tagliato può passare anche un secolo e in questa zona il commercio della legna è molto importante e sviluppato, molti riscaldamenti vanno ancora a legna, venduta anche in città.

Tra i cerri spuntano vari cespugli di ginepro e con mia grande sorpresa vengo a sapere che il ginepro indica la presenza di un terreno franoso, è infatti la prima vegetazione in grado di ripopolare un terreno appena franato.

Qui un tempo era tutta foresta, meglio nota come la “Selva degli Arimanni”, ovvero l’antica foresta dei guerrieri longobardi, esperti conoscitori dei boschi, a cui veniva dato il congedo perenne e, anche se potevano essere richiamati a combattere in qualsiasi momento, vivevano liberi, avevano possedimenti e potevano fondare città e paesi. Questa zona è stata quindi fondata all’epoca. Le prime notizie del castello di Bardi sono del 898, ma il castello esisteva già, probabilmente il nucleo originario si è costruito su un antico avamposto longobardo. Il nome di Bardi deriva appunto dall’etimologia longobardo.Ad un secondo bivio teniamo la sinistra, direzione Cappellla di San Giovanni, si inizia a salire in una piccola radura. Da ora in poi la salita sarà graduale ma costante e sempre più impegnativa.

Passiamo di fianco alla sorgente di San Giovanni, nel secondo dopoguerra, un locale, grazie alla sua fantasia ed intraprendenza, aveva cercato di farla diventare una fonte di reddito e si era creduto che l’acqua avesse proprietà curative eccezionali. Aveva riscosso da subito un discreto successo ma altrettanto in fretta venne smascherato.

Superata la fonte incontriamo la Cappella di San Giovanni.

Questa vallata, più in passato che in epoca moderna, ha avuto un’importanza strategica notevole. Soprattutto i Longobardi sfruttarono questi valichi per collegare la pianura al mare e infine a Roma. Ovviamente le antiche vie di comunicazione non erano strade vere e proprie come le vediamo oggi, si parlava di direttrici, che indicavano appunto la direzione Nord-Sud. A seconda della stagione, delle frane e della situazione politica del territorio, si passava dove si riusciva. Lungo queste tratte sorsero strutture di accoglienza perché i viaggi all’epoca erano veramente impegnativi. I pellegrini spesso facevano testamento prima di partire e vennero creati lungo le direttrici principali degli “hospitali”, un luogo di sosta e riposo per i pellegrini ma anche fonte di lucro e guadagno per chi le fondava. Qui sul monte Carameto, anche se non è ben chiaro il luogo esatto, un tempo c’era l’antico hospitale di San Giovanni, da cui ha origine oggi il nome di Ospedale, anche se la funzione che ha acquisito è diversa.

Passando dietro alla cappella continua la nostra salita attraverso un fitto bosco di faggi.

La natura si sta risvegliando dopo la pausa invernale e il sentiero è punteggiato da fitti mazzi di primule selvatiche che fanno capolino sotto il tappeto di foglie secche. Da sempre, le primule, sono per me le messaggere dell’arrivo della primavera, quante ne ho raccolte da bambina quando andavo in giro nei boschi con la mia nonna!

Ora mi limito a fotografarle, anche perché dopo numerosi tentativi falliti di trapiantale in giardino, ho capito che era meglio lasciarle nel loro habitat naturale.

Raggiungiamo la località “Lagoni” un magnifico altopiano che permette ampie vedute panoramiche sulla Val Ceno. L’ambiente qui è di grande bellezza, peccato solo la vegetazione risenta molto della scarsità di pioggia e totale assenza di neve dell’inverno appena trascorso.

Proseguiamo rasentando una grande casa di sasso e girando a sinistra ci lasciamo alle spalle gli ampi pascoli pianeggianti.

La salita si fa nettamente più impegnativa, il venticello che ci ha mantenuto freschi ed energici fino ad ora si è placato di colpo e il primo sole caldo della stagione picchia con tutta la sua sfrontatezza.Anche la piccola mascotte del gruppo, Bea, una simpaticissima Jack Russel di tre anni è in difficoltà ed ha rallentato il passo ma non molla, nonostante i numerosi tentativi della la padrona di prenderla in braccio.

Guadagnando quota il panorama si apre e la vista spazia su tutta la valle.

Ben distinguibile di fronte a noi è la punta del Monte Penna e del Tomarlo, la cima più alta del nostro Appennino, un monte al confine tra la Val d’Aveto e le Valli del parmense, che presta il nome all’omonimo passo che mette in comunicazione le provincie di Parma, Genova e Piacenza.

Ben distinguibile ma solo dopo che la guida mi hanno fornito le giuste coordinate, non ho una conoscenza cosi approfondita della zona e il fatto di essere in compagnia di una guida ambientale ha decisamente i suoi vantaggi.

Ad un certo punto la nostra attenzione è attratta da una lunga fila di processionarie.

Si tratta di un parassita altamente distruttivo per le pinete poiché le priva di del fogliame, compromettendone il ciclo vitale. Vi sarà sicuramente capitato di vedere dei grossi bozzoli bianchi attaccati ai rami di pini. Quelli sono i nidi della processionaria

Durante lo stadio larvale, come in questo caso, l’insetto presenta una peluria che risulta particolarmente urticante per vari animali, uomo compreso. I gruppi di larve di processionaria si spostano quasi sempre in fila indiana formando una sorta di “processione” (da cui deriva il nome) e si compattano quando raggiungono il loro nido bianco di seta usato per deporre le uova.
Le processionarie adulte si trasformano nelle cosiddette “farfalle triangolari”, non sono altro che quelle farfalle marroni che è facile vedere nelle sere d’estate, si tratta infatti di farfalle notturne, abbastanza sgradevoli alla vista ma le avrete sicuramente incontrate in più di una occasione.

Continua la nostra salita.

Raggiungiamo un punto del sentiero dove emergono interessanti stratificazioni e formazioni rocciose che danno lo spunto per un interessante approfondimento di geologia.

Milioni di anni fa, quando ancora la terra era popolata dai dinosauri, la Corsica e la Sardegna erano attaccati alla Costa Azzurra e questa placca, ruotando in senso orario e spingendo contro la placca Balcanica, ha fatto emergere gli Appennini. Quello che si trovava sul fondo dell’oceano, l’antico Mare di Tetide, improvvisamente viene trasportato in quota e viene innalzato. Qui in particolare troviamo calcare, argilla e sabbia che, grazie alla pressione e al tempo, hanno subito un processo di diagenesi diventando una roccia caratterizzata da tanti strati sovrapposti, come una gigantesca “lasagna”. In alcuni punti la conformazione della roccia è ben visibile e poco più avanti cammineremo proprio sopra enormi lastroni.

Ovviamente i detriti e i depositi come foglie e terra hanno creato uno strato molto spesso per cui in molti tratti questa conformazione non è più visibile ma se siete abituati a girare per l’Appennino Emiliano capita spesso di vedere queste montagne tagliate lateralmente con tutti gli strati ben visibili che possono essere dritti o storti a seconda delle spinte incredibili che hanno ricevuto.

Essendo una roccia sedimentaria, non è raro trovare piccoli fossili e tracce di origine vegetale.
Ovviamente questa è una visone semplificata di un processo molto più complesso.Riprendiamo il nostro cammino.Anche qui sono ben visibili le stratificazioni di taglio di cui abbiamo appena parlato.

Il percorso è sempre ben indicato dal segnavia CAI bianco e rosso.

Attraversiamo un bellissimo ambiente boscoso di faggi e qualche nocciolo.

Un ultimo sforzo, ci siamo quasi.

In vetta il vento soffia implacabile ma non ci impedisce di respirare a fondo per recuperare fiato e goderci il bellissimo panorama. Ben visibile il borgo di Bardi adagiato nel fondovalle, con il suo sperone roccioso dominato dal castello.

Il monte Carameto è uno dei punti trigonometrici primari fissati dall’IGM (Istituto Geografico Militare) negli anni successivi all’Unità d’Italia per le misurazioni del territorio, nonché uno dei 300 punti panoramici più belli d’Italia. La cima è contraddistinta dal cippo in pietra contrassegnato I.G.M, tanto disadorno quanto efficace ed indiscutibile il messaggio che reca: “Chi danneggia, è punito”

Il ritorno è tutto in discesa, anche se per molti la discesa può risultare più faticosa della salita.

Ancora una volta ci lasciamo ammaliare dalle fioriture spontanee del sottobosco.

Ancora pochi minuti e raggiungiamo la strada all’altezza del passo, facendo così ritorno all’area di sosta in prossimità del Passo del Pellizzone.

L’escursione è assolutamente priva di tratti pericolosi o esposti, è adatta anche ai bambini, e può essere effettuata in ogni periodo dell’anno, tenendo in considerazione che in inverno le quote più elevate potrebbero essere innevate. L’itinerario, interamente segnato dal CAI, si sviluppa su un anello di circa 9 km ed ha un dislivello complessivo di circa 560 mt; la quota massima si raggiunge sulla vetta del monte Carameto a mt 1318 e può essere percorso in circa 2 ore e 30 minuti, soste escluse.

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