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Trekking nel Parco Naturale di Portofino – La via dei tubi

Quella di cui vi parlo oggi è un escursione decisamente “alternativa”, o comunque adatta a persone con un minimo di esperienza a patto che non soffriate né di vertigini né di claustrofobia.
Si svolge sempre nella mia terra del cuore, la Liguria, e più precisamente all’interno del Parco Naturale di Portofino. Il percorso, conosciuto dagli escursionisti come “La Via dei Tubi”, segue l’antico acquedotto costruito alla fine dell’ottocento per portare a Camogli l’acqua della sorgente Caselle. Oggi la parte in quota dell’acquedotto è mantenuta a fini antincendio, mentre il tratto più utilizzato porta ancora oggi l’acqua da Caselle a San Fruttuoso.

Il percorso taglia per cinque chilometri il versante più ripido del Promontorio, attraversando tre gallerie per le quali è indispensabile l’uso di una torcia elettrica, meglio se frontale per avere le mani libere (le gallerie sarebbero quattro ma una non è più agibile). Sono presenti diversi punti esposti nel vuoto anche se i tratti più pericolosi sono attrezzati e messi in sicurezza con scalette e catene.

Per questo motivo l’escursione è fattibile solo se accompagnati da una guida del Parco Regionale di Portofino. Ci sono un paio di passaggi che potrebbero rivelarsi pericolosi per i meno esperti o per il classico escursionista della domenica che si cimenta in trekking faticosi in giacca e cravatta. Credetemi, se ne incontrano sempre! Possono entrare gratuitamente e senza preavviso solo le Guide Ambientali ed Escursionistiche con apposito tesserino, e i residenti dei comuni di Camogli, Santa Margherita e Portofino.

Fatevi quindi un piccolo esame di coscienza e se ritenete di essere idonei potete contattare direttamente l’Ente del Parco per sapere il calendario delle prossime uscite e prenotarvi. Il costo dell’escursione è di euro 10 a testa e la durata circa 2 ore e mezza. Qui di seguito trovate i contatti per info e prenotazioni:

labter@parcoportofino.it
(+39)3480182557 e (+39)3480182558

Non fraintendetemi, non serve essere una guida alpina, io non sono nemmeno esperta di ferrate e fino ad oggi pensavo anche di soffrire un pochino di vertigini (ma ho avuto la riprova che sono solo delle mie fisime). Bisogna però essere un minimo allenati, attrezzati e in buona forma fisica, questo sì. La guida ci ha confessato di avere incontrato più di una persona che arrivati al punto “critico” del percorso sono dovuti tornare sui loro passi perché non riuscivano più ad andare avanti.Cercherò di darvi una descrizione il più possibile dettagliata dell’itinerario, se alla fine del post avete ancora dubbi scrivetemi o ancora meglio, contattate direttamente l’Ente del Parco, molto più accreditato di me a fornirvi le dovute informazioni.

Fatte le debite premesse, questo tracciato è senza dubbio uno dei più affascinanti dell’intero arco ligure, con stupende visuali sulla costa meridionale del promontorio e sui rilievi che la sovrastano.

Il punto di ritrovo è la Chiesa di San Rocco di Camogli, che come la scorsa volta raggiungiamo a piedi dalla stazione ferroviaria di Camogli. Se vi siete persi il post lo trovate QUI, avrete cosi tutte le informazioni che vi servono e che ora non andrò a ripetere.

Voglio però condividere con voi un paio di immagini di Camogli alle 7,30 di mattina, una cittadina ancora addormentata, negozi, bar e ristoranti ancora chiusi, ad eccezione di un forno dove acquistiamo una buonissima focaccia appena sfornata per fare colazione. Ci sediamo su una panchina a contemplare il mare, mentre le prime luci riscaldano la città.

Un sensazione di pace impagabile, come vorrei svegliami tutte le mattine con questa vista!

Starei seduta qui per ore ma è tempo di andare, per raggiungere San Rocco ci vuole una mezz’oretta abbondante e mi conosco, ogni due per tre mi perdo a fare foto, quindi gambe in spalle!Alle 9,00 puntuali incontriamo la nostra guida, Fabrizio e il resto del gruppo.

Un veloce appello per capire se ci siamo tutti o se il cambio dell’ora “legale” ha colto qualcuno impreparato e si parte. La Guida sostiene che oggi l’umidità in Liguria si fa sentire, io firmerei con il sangue per potere avere questo clima anche a casa! Penso alla nebbia che incombe sulla pianura padana mentre sono qui in mezze maniche e braghette corte e lo sguardo rivolto ad un cielo che più blu non si può!

Imbocchiamo la stradina asfaltata a destra della Chiesa e ci dirigiamo verso Batterie. È lo stesso percorso che porta al famoso quanto difficoltoso Passo del Bacio ma noi prenderemo la deviazione per la Via dei tubi.

Trascuriamo la scalinata sulla destra che scende a Punta Chiappa, potrete eventualmente affrontare i tanti gradini al ritorno (in salita!), una volta che il battello vi avrà traghettato dall’affascinante borgo di San Fruttuoso di Camogli a Porto Pidocchio. Per i dettagli vi rimando ancora una volta al post precedente. Lo trovate QUI

Proseguendo praticamente in piano attraversiamo gli abitati di Poggio e Mortola e dopo aver superato un gruppetto di case usciamo gradualmente dalla civiltà affiancando alcune fasce coltivate ad ulivo e successivamente una folta pineta di pini marittimi e querce, finché la vegetazione si dirada offrendo una stupenda vista sul golfo Paradiso. Bellissima la visuale su Punta Chiappa, la giornata poi è perfetta!

Procediamo con passo spedito, complice un dislivello quasi inesistente fino a Batterie sede di alcune ex postazioni militari.

Qui si trova un punto informativo del parco.

Tramite finanziamenti europei, il parco ha stanziato dei fondi, per recuperare le postazioni per il tiro e i bunker e i tunnel. Non so se lo sapete ma ogni postazione da questo punto fino a punta Chiappa aveva delle gallerie, dei tunnels, ad uso delle guarnigioni che stanziavano all’ interno dei bunker.

Fabrizio ci illustra in maniera semplice ma molto precisa la funzione storica di questa zona, in particolare, la nascita della 202 batteria durante la seconda guerra mondiale.

La stazione di tiro di Batterie è costituita da due corpi sovrapposti, in calcestruzzo, comunicanti tra loro per mezzo di una scala elicoidale accessibile dall’ interno del locale superiore per mezzo di una botola.

Questo era il cervello della Batteria Chiappa deputato a indirizzare il tiro dei tre cannoni collocati nelle postazioni inferiori. Sulla piazzola inferiore, non c’erano i cannoni ma un telemetro, di circa 5 metri, posto su una piattaforma di ghisa, con cui veniva misurato il punto in cui sparare. Da qui veniva trasmesso l’ordine di tiro alle postazioni bunkerate al di sotto.

Come ricorderete L’Italia entra in guerra nel 1940, dichiarando guerra alla Francia. Nel 1941, gli inglesi, approfittando della nebbia, giungono alla fronda di Genova e la bombardano dal mare. Tenete conto che in quegli anni Genova era il più importante porto commerciale italiano. La risposta da parte della difesa italiana è praticamente nulla. A quel punto ci si rese conto che le poche strutture difensive, poste sopra i monti di Genova non erano sufficienti. Per questo vengono espropriati i terreni sopra Portofino e viene costruita la 202 batteria, progettata per avere la massima copertura di questo tratto di mare. Ora vediamo una bella boscaglia ma un tempo non c’era vegetazione, se cerchiamo su internet delle foto dell’epoca vediamo che era come un grande pascolo, affinché la visuale fosse perfetta. Dalla struttura superiore della stazione di tiro si possono ancora vedere degli spuntoni metallici usati per attaccare le reti mimetiche e rendere invisibili dal mare e dall’alto questa postazione.

Dopo la guerra quando i civili rientrarono in possessi dei propri territori trovarono numerose bombe inesplose. La 202 batteria non ha mai sparato ufficialmente ma i soldati erano obbligati a fare esercitazioni, è facile dunque trovare proiettili e oggetti inesplosi ancora presenti sul suolo (nulla di pericoloso non temete). Per evitare atti vandalici il parco è stato costretto a chiudere sia i tunnels che i bunkers, ma per chi volesse approfondire l’argomento, quando il punto informativo è aperto (controllate gli orari sul sito) organizzano escursioni dedicate della durata di un oretta.Oggi la postazione di tiro è diventata una terrazza panoramica. Sotto di noi si allunga la striscia rocciosa di Punta Chiappa, mentre di fronte si staglia, sebbene in controluce, la sagoma del Monte Campana.

Procediamo ancora per un brevissimo tratto fino ad arrivare al paletto n° 46 dell’ente parco che non segnala esplicitamente l’inizio della via dei Tubi, ma piuttosto evidenzia le tempistiche del sentiero
S. Rocco-S.Fruttuoso.

Prendiamo un sentiero quasi nascosto dall’ erba che si inerpica per un breve tratto, fino a raggiungere il condotta dell’acquedotto.

Passiamo sopra un muretto a secco posto sotto alcune balze rocciose di conglomerato, fino ad incrociare le tubature del vecchio acquedotto.

Vi farò sorridere ma per me è stato il punto più critico. Sebbene non fosse altissimo e se fossi caduta me la sarei forse cavata con una semplice distorsione, camminare in equilibrio senza appigli su un muretto stretto stretto, non è mai piacevole. In realtà il tratto “critico” del percorso è un altro e in quel frangente me la sono cavata molto meglio!Terminata la salita si arriva all’ imbocco della prima galleria, detta del Bricco e lunga 66 metri.

L’ingresso nel cunicolo è piuttosto stretto e va percorso necessariamente a carponi, le vostre ginocchia vi ameranno soprattutto se siete persone alte. Il cunicolo diventare più largo nel tratto centrale, dove potrete finalmente rimettervi dritti.

Questa galleria termina nella meravigliosa vallata della tutelatissima Cala dell’Oro, tra la macchia mediterranea e i lecci.

Giungiamo senza fatica al tratto più divertente ma anche più impegnativo del percorso.

Vedete il tubo dell’acquedotto che taglia la montagna? bene, passeremo di li!

La condotta attraversa un semi-burrone che noi aggiriamo appigliandoci con le mani ad alcuni gradini scavati nella roccia.

Io sembro un geco!

Ora dobbiamo affrontare il punto più temuto, e come ci ricorda Fabrizio, il tratto che motiva la sua presenza. Scendiamo con una ripida scaletta in una scarpata, siamo praticamente a ridosso di un burrone che attraversiamo aiutandoci con delle catene come corrimano. Inutile dirlo ma fate molta attenzione a dove mettete i piedi.

Ed eccomi super concentrata in azione


Finito questo tratto difficoltoso giungiamo ad una seconda galleria, detta del Semaforo Nuovo, lunga 31 m. e decisamente più agevole rispetto alla precedente.

La sorpresa arriva all’ uscita del tunnel dove troviamo un ambiente straordinariamente ombroso e umido.

Usciamo per un breve tratto dalla traccia dell’acquedotto, che riprenderemo poco più avanti.

Si alternano ora alcuni passaggi fortemente esposti ma attrezzati da corrimani di catene.

Allo stesso tempo sono punti molto panoramici che ci conducono alla galleria della Torretta, lunga 90 m.Veniamo informati da Fabrizio che all’interno non è raro trovare rospi, ragni e pipistrelli in cerca di un luogo umido e riparato. Nel caso non puntate torce contro questi ultimi per evitare di disturbarli e farli volare via subito (se accadesse, sappiate che NON si impigliano nei vostri capelli!).
Non spaventatevi ed entrate anche se le curve impediscono di vedere l’uscita.
Qui conviene mantenersi costantemente sopra il tubo per non finire sulle pozze d’acqua ai lati del tunnel e scivolare.

La galleria termina nella vallata di S. Fruttuoso che si intravede in basso tra gli alberi.Giungiamo in località Caselle, dove incrociamo il sentiero segnato che da Pietre Strette scende a San Fruttuoso. La nostra escursione in compagnia di Fabrizio e del resto del gruppo termina qui.

La via dei tubi si è rivelato un percorso molto bello e divertente ma adatto solo a chi ha il piede fermo.

Peccato solo per la presenza di altri escursionisti veramente cafoni che in più di una occasione si sono lamentati della nostra presenza e del nostro passo rilassato. Di fronte una tale maleducazione è meglio tenere a bada la lingua e non rispondere ad inutili provocazioni, ma l’episodio è stato prontamente segnalato all’Ente Parco.

A questo punto esistono due alternative.

Salire in quota e raggiungere la località di Pietre Strette, per poi ridiscendere a San Rocco oppure scendere fino alla baia di San Fruttuoso servita da regolare servizio di traghetti per Camogli e Portofino.

Noi optiamo per la seconda alternativa, e vista la giornata spettacolare ne approfittiamo per un pranzo all’Agririfugio I Molini, che avevamo appunto adocchiato durante la precedente escursione a San Fruttuoso. Di nuovo, se l’avete persa cliccare QUI.

Ora ditemi se pranzare il 30 di Ottobre in questo contesto non è un sogno?
E se stessi davvero sognando non svegliatemi, vi prego.
Se passate da queste parti vi consiglio di fermarvi, ne vale davvero la pena.

Ora ci aspetta la solita discesa spacca ginocchia che ci condurrà in breve tempo a San Fruttuoso. Decidiamo di visitare l’interno dell’Abbazia, che la scorsa volta per motivi di tempo avevamo omesso.

Molto interessante, eccovi qualche scorcio dell’interno dell’abbazia.

La spiaggetta è stracolma di gente e la maggior parte, che ci crediate o meno sono in acqua a fare il bagno. Peccato non essere equipaggiati perché mi sarei tuffata volentieri pure io.

È tempo di rientrare, dobbiamo anche tenere conto che oggi farà buio un’ora prima! (ora solare, eri proprio necessaria!?)

Potevamo aspettare un comodo traghetto ma appunto, io vado ad energia solare (nei prossimi mesi mi aspetta dunque un lungo letargo) e la giornata di oggi mi ha ricaricato a dovere. Decidiamo di rientrare percorrendo il sentiero che conduce a Portofino mare, ci attende un’altra ora e mezza di cammino in un zona del Parco che ancora non abbiamo esplorato.

Lungo il cammino, a differenza dell’andata, non ci sono fonti di acqua quindi è consigliabile fare rifornimento prima di partire.

Dal piccolo piazzale davanti alla chiesa di San Fruttuoso prendete la stradina che, passando sotto la Torre Doria, conduce alla spiaggetta di ciottoli e proseguite tra le case dei pescatori.

Salutiamo l’abbazia, che ci lasceremo definitivamente alle spalle.

Ora ci attende una ripida e irregolare salita che si inerpica nel bosco regalandoci dei bellissimi scorci panoramici.

Rispetto a questa mattina il dislivello si sente, nulla di impossibile ma il primo tratto è tutto in salita, avendo già macinato dei km e con la pancia piena mi sento un tantino meno agile! Superata la base di atterraggio degli elicotteri continuiamo a salire.

Dopo circa 40 minuti raggiungiamo la Base 0, una postazione militare della II Guerra Mondiale.
A sinistra si sale verso Portofino Vetta, con la possibilità di ridiscendere a Pietre Strette/ San Rocco.
Noi, ci manteniamo sul sentiero di destra che prosegue sul lato occidentale del Promontorio.

Il percorso è ora poco impegnativo ma di incredibile bellezza. Si sente solo il rumore dei nostri passi e delle onde del mare.

Tratti pianeggianti si alternano a numerosi saliscendi tra massi rocciosi, aprendosi in alcuni punti alla vista delle calette sottostanti.

Giungiamo ad un bivio, in prossimità di alcune abitazioni, si può scegliere se proseguire per Portofino mare o Portofino passo della Cappelletta. Teniamo le indicazioni e Portofino mare, non sapendo di preciso dove conduce l’altro sentiero.

Il sole sta calando, anche se sono solo le 17,30…non sono pronta all’ ora solare. I fotografi questa la chiamano “the golden hour” e sarete d’accordo con me, a quest’ora la luce è magica!

Proseguiamo diritti scendendo una ripida ma breve strada carrozzabile che conduce ad un cancello.
Possiamo attraversarlo ma siamo pregati di richiuderlo. Mi sembra di entrare a casa di qualcuno.

L’ultimo tratto del percorso è costituito da una scalinata di pietre e cemento che scende circondata da arbusti. In lontananza si intravede il piccolo Porto di Portofino.


Il sentiero termina su una strada carrozzabile, passiamo di fianco ad un lussuoso Hotel e seguendo la strada giungiamo in via Fondaco, il piazzale all’entrata di Portofino. Un giro fino al porto è doveroso.

 

Qui con un autobus ci dirigiamo verso Santa Margherita e poi in treno facciamo ritorno a Chiavari, la nostra base in Liguria.

Quando si dice, sfruttare al massimo la giornata!

1 Comment

  1. riccardo bianconi

    28th Giu 2021 - 21:36

    Bellissimo racconto.

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